Dall' "inferno" di infermi all'Ospedale Roncati

Ospedale Roncati

Ospedale Roncati

 
 

Nel 1860, con il decreto Farini, si stabilì che fosse la Provincia a occuparsi dei malati di mente, e che perciò si istituisse un manicomio: negli anni che immediatamente precedettero la 'marcia' di Roncati con i suoi malati alla volta del futuro omonimo ospedale ed ex convento delle Salesiane (per cui si veda la scheda del relativo fondo,), la questione fu molto dibattuta dal Consiglio provinciale. Vediamo come tutto si svolse.

Era stato il Corpo amministrativo degli Spedali, che ben conosceva le condizioni in cui si trovavano a vivere i malati di mente allora ricoverati all'Ospedale Sant'Orsola, a scrivere una dolorosa relazione sopra lo stabilimento, udita la quale il Consiglio provinciale decise per
la nomina di un'apposita Commissione, la quale, giovandosi pure degli studi che in altre città d'Italia si stanno ora facendo sopra questo importante oggetto, esponga al Consiglio nel più breve termine possibile il saggio suo parere intorno ai vari sistemi di costruzione che ancora si contendono il primato fra gli scienziati.

La proposta - formulata dal consigliere Sassoli nella seduta dell'11 ottobre 1861 (Atti del Consiglio provinciale. Sessione ordinaria, vol. 28) - viene accettata; ma non mancano fin da subito le discussioni: c'è chi propone di istituire un manicomio interprovinciale, e chi ipotizza l'ampliamento della struttura imolese.

Il 28 marzo dell'anno successivo (Atti del Consiglio provinciale. Sessione straordinaria, vol. 29), il Consiglio torna a trattare l'argomento: viene letta la relazione della Commissione, che consiglia di erigere un nuovo manicomio. Emerge nuovamente l'idea di realizzarne uno con il concorso di diverse Province, ma Rizzoli, l'illustre medico, vi si oppone caldamente, rispondendo

essere la media dei pazzi ricoverati nel nostro Manicomio dai 300 ai 350; aversi ragione di credere sieno per aumentare per la spaventevole estensione, che prende ognor più la pellagra, la quale suol finire colla pazzia; quei 300 a 350 essere tutti miserabili; rifuggire le persone agiate di mandare i loro parenti privi di senno in quell'orrido luogo; migliorato adunque lo stabilimento essere da credere che il numero ordinario raggiunga li 400 ricoverati e forse li superi; essere perciò contrario alle buone regole additate dalla scienza e dalla pratica il cercare il concorso di altre Provincie, che di tanto accrescerebbe il numero dei mentecatti.


La seduta si conclude con la risoluzione di affidare alla Deputazione gli studi (anche con il compimento di viaggi all'estero), l'esecuzione del progetto e il relativo preventivo di spesa per la costruzione di un nuovo manicomio. Viene così istituita una Commissione composta dai Professori Rizzoli e Monti, e dall'architetto genovese Gardella, incaricata di visitare i manicomi allora più rinomati, come quello di Bassens presso Chambéry in Savoia, preso a modello. A seguito degli studi effettuati, Ignazio Gardella presenta al Consiglio provinciale un proprio progetto, conservato nella serie "Carteggio e atti classificati", per la costruzione di un nuovo manicomio in Bologna in un'area che, pur garantendo la necessaria riservatezza ai malati, risultasse al contempo ben collegata e facilmente raggiungibile dal centro cittadino (b. 266, 1863, tit. 7, nr. prot. 970).

Gardella immagina un edificio ampio, dagli spazi razionalmente suddivisi a seconda delle differenti tipologie dei malati, e dotato di spazi verdi da destinare alle attività di recupero dei pazienti. Il Consiglio provinciale giudica il progetto troppo costoso, ed esprime forti dubbi sull'opportunità di avviare una tale impresa (Atti del Consiglio provinciale. Sessione straordinaria, 28 aprile 1863, vol. 31):

sarà prudente cosa pigliare sopra di sé un tanto e sì gravoso carico, quale è la costruzione e l'arredamento d'un nuovo Manicomio, che importa la spesa di due milioni, senza tener conto di quanto potesse anco in avvenire ricadere a peso della Provincia pel mantenimento dell'edificio, e per l'esercizio dell'Istituto?


Si prende così la decisione finale di differire qualunque deliberazione in merito.

Appresa tale deliberazione, e preoccupato che per non potersi conseguire l'ottimo, si preferisca tenere il pessimo, torna a farsi sentire il Corpo amministrativo centrale degli Spedali per ribadire la necessità di un intervento (Carteggio e atti classificati, b. 284, 1864, fasc. Sul miglioramento al Manicomio di S. Orsola, allegato al nr. prot. 4752):

Questo Corpo Amministrativo, cui è affidato il Manicomio pei pazzi della Provincia, ha sentito essere suo dovere di non cessare di occuparsi, perché in una guisa qualunque si potesse conseguire lo scopo di fare scomparire le sconvenienti e ad un tempo indecorose condizioni del Manicomio di S. Orsola.


Quali fossero queste condizioni, è chiarito nell'acclusa relazione; il problema principale della struttura - che allora ospitava tanto l'ospedale (com'è anche oggi), quanto il manicomio - era legato al piano terreno, che risultava

così depresso da non sapersi dire se meglio non gli convenga il nome di sotterraneo [...] infine lo spazio difetta ovunque per guisa che fu forza lo estendere le infermerie ed i dormitori dei dementi anche in questo piano, non ostante l'eccessiva umidità ed il difetto di aria e di luce che vi si riscontrano.


La situazione era nota anche agli specialisti dell'epoca, come risulta dall' "Estratto della Gazzetta delle Romagne del 26 gennaio 1865", in cui il dottor Cesare Belluzzi recensisce l'opera del collega Filippo Cardona (Carteggio e atti classificati, b. 305, 1865, nr. prot. 346).

Non del tutto ingiustificato appare - anche da quanto si è detto finora - l'atteggiamento di critica di Belluzzi nei confronti dei politici dell'epoca:

Per me sono d'avviso che se i Consiglieri Provinciali prendendosi dalle sale dei loro dibattimenti, vincessero il disgusto che alcuni provano a visitare Spedali (intorno ai quali però debbono deliberare) si portassero all'attuale Manicomio che è un
inferno di infermi, se maggior numero di cittadini prendessero conoscenza del medesimo, più facilmente si verrebbe a tale determinazione anche perché la pubblica opinione sarebbe sprone ad un simile partito.

Tornando alla relazione promossa dal Corpo amministrativo, essa si configura anche come progetto di miglioramento dell'ospedale Sant'Orsola; tale progetto, a firma dell'ing. Neri - incaricato dallo stesso Corpo amministrativo - viene discusso dal Consiglio provinciale nella seduta ordinaria del 14 ottobre 1864 (Atti del Consiglio provinciale, vol. 34). In quell'occasione il Professor Rizzoli - che aveva verificato di persona come l'ipotesi di un risanamento del Sant'Orsola fosse impraticabile - lo mise fortemente in dubbio, e d'altra parte deplorò che il progetto Gardella dal Consiglio non fu discusso e rimase, per qual ragione non saprebbe dire, sulla tavola dimenticato. Il Consiglio si trovava insomma in una situazione di impasse: la costruzione del nuovo manicomio sarebbe stata la soluzione migliore, ma non c'erano fondi a sufficienza; invece la ristrutturazione del Sant'Orsola, per cui forse si sarebbero trovati i finanziamenti, rischiava di essere - è questa l'idea sostenuta da Rizzoli - un'opera inutile e infruttuosa. Le cose non cambiarono nella seduta del 17 ottobre 1864 (Atti del Consiglio provinciale. Sessione ordinaria, vol. 34): i Consiglieri avrebbero voluto stanziare una somma per i lavori di ristrutturazione, previo giudizio di un'apposita Commissione, ma incontrarono nuovamente la decisa opposizione del Professore:

È prudente, doveroso e necessario l'osservare se i lavori proposti sieno per riescire veramente utili, come ne vogliono assicurare i proponenti [...]. Che poi i lavori stessi possano costituire la base alla formazione di un nuovo e completo stabilimento, non è assolutamente da credersi [...]: è troppo vicino alla città e ad alcune delle strade principali, è unito ad un Ospedale, peggio anzi ad un Sifilocomio, dove si curano fra gli altri infermi le prostitute; [...] dovendosi in un Manicomio introdurre il lavoro, ed in ispecie nel nostro il lavoro principalmente agricolo, perché la esperienza ha dimostrato che il maggior numero dei mentecatti della nostra Provincia è di agricoltori, non si saprebbe come potere in quella località sottrarre i disgraziati lavoratori allo sguardo dei vicini, anche se con una ingente spesa si costruisse intorno intorno al terreno una cinta di muro.


L'unica via d'uscita, che Rizzoli propone, è il trasferimento del maggior numero possibile di malati in altri manicomi, come quelli di Imola, Ferrara e Pesaro. La risoluzione presa dal Consiglio nella successiva seduta, il 21 ottobre 1864 (Atti del Consiglio provinciale. Sessione ordinaria, vol. 34), è decisamente diplomatica: da un lato si stabilisce che una parte dei mentecatti venga accolta in altri manicomi, dall'altro si decide di ricorrere a dei consulenti che valutino l'opportunità dei miglioramenti proposti per il Sant'Orsola.

Del costoso ma valido progetto dell'ingegner Gardella non si discute più; anzi, nella busta 305 (1865) della serie «Carteggio e atti classificati», al titolo 7, si ritrovano alcuni documenti relativi a un' "Inchiesta sullo smarrimento dei disegni", che però oggi troviamo tutti e quattro al loro posto, nella busta 266 (cf. supra).

I lavori del Consiglio, dunque, si arenano; d'altra parte, il Corpo amministrativo centrale degli spedali non cessa di far sentire la propria voce, e anzi, con una lettera alla Deputazione provinciale del 23 maggio 1865 (conservata sempre nella busta 305 della serie «Carteggio e atti classificati», nr. prot. 1584), comunica che

ha deciso di declinare la penosa responsabilità anche solo apparente in faccia il paese di condurre l'amministrazione di uno stabilimento
[quale appunto il Sant'Orsola], alla di cui vista si stringe il cuore a chiunque abbia senso di umanità. [...] Non è però alieno questo Corpo Amministrativo dal conservare la direzione del Manicomio [...], ma qualora sia convenientemente provveduto alle necessità urgentissime di un presente, che costituisce un'offesa alla civiltà, non che all'umano sentire di questi tempi.

Con una successiva lettera (nr. prot. 2287), il Corpo amministrativo dà atto dei seppur lievi benefici ottenuti col trasferimento di alcuni malati in altri ospedali, ma nel contempo avverte dell'imminenza di un altro grave pericolo:

questa restrizione di numero è ben tenue cosa in confronto del bisogno di diminuire la sventurata famiglia dei molti dementi, il quale bisogno è divenuto una urgenza nelle presenti circostanze in cui la salute pubblica è minacciata dal cholera. [...] Vuolsi pertanto richiamare l'attenzione di codesta onorevole Rappresentanza della Provincia sulla necessità di prendere misure di precauzione, consistenti nel collocare in altri Manicomii una gran parte di quei pazzi, che hanno d'uopo di molta cura e vigilanza, e nel rinvenire un locale, occupando foss'anche un Convento, per destinarvi coloro che si trovano in uno stato d'imbecillità, accompagnata da animo sufficientemente quieto e tranquillo.


Quando, com'era prevedibile, si manifestano a Bologna i primi casi di colera, e mentre il Consiglio provinciale sta ancora trattando con il Demanio per la cessione dei locali del soppresso monastero delle Salesiane di via Sant'Isaia, nel settembre del 1867 l'allora medico primario del Manicomio di S. Orsola Francesco Roncati vi si trasferisce, portando con sé alcuni degenti e descrivendo alla Deputazione la propria impresa in questi termini:

Ed a sera, tosto il dì 12 settembre ed alcuni giorni poi, si vennero trasportando in città nell'ex-Convento a decine per volta i pazzi, sì che a poco a poco vi si trovarono trasmutati i più degli abitatori del vecchio manicomio, cioè i tranquilli tutti quanti ed ancora non pochi fra gli agitati e i pericolosi. Né i molti viaggi diedero occasione a qualsiasi inconveniente; ed anzi furon potuti compiere senza indiscreti affollamenti di curiosi , o quasi all'insaputa.


I lavori di ristrutturazione dell'ex convento delle Salesiane di via Sant'Isaia - questi sì - saranno intrapresi. Così, nel fondo "Ufficio Tecnico della Provincia di Bologna", ritroviamo tutta la documentazione, a partire dal progetto commissionato dalla Deputazione amministrativa provinciale nel maggio del 1868 (b. 339, 1870, tit. 4 rub. 8, nr. prot. 2146) fino alla documentazione fotografica, tra cui le due immagini degli esterni dell'edificio (Ufficio Tecnico, Archivio fotografico, cassetto XII, 8).

L'originario convento delle Salesiane, il '90' di via Sant'Isaia, progressivamente ampliato, ha ospitato per oltre un secolo i malati, ed è tuttora sede di numerosi servizi dell'Azienda Sanitaria Locale; dal 1983 al 2006 ha ospitato l'Archivio storico provinciale, e ancora oggi una parte dei suoi locali è destinata all'Istituzione Gian Franco Minguzzi della Provincia di Bologna.