Lo spopolamento montano dall’ultimo dopoguerra agli Anni ‘70

Figura 1 - Variazione % della popolazione residente

Figura 1 - Variazione % della popolazione residente

 
 

Lo spopolamento delle zone montane che si manifesta in Emilia-Romagna e in Italia dal secondo dopoguerra rappresenta l’aspetto più drastico e massivo del più generale processo di abbandono delle campagne, e, con esse, delle attività legate all’agricoltura che corrisponde da un lato al rapido processo di industrializzazione dell’economia, dall’altro ed in misura minore, e circoscritta alle zone di pianura, alla stessa progressiva meccanizzazione dell’attività agricola tradizionale.

 

Per l’Appennino, come per la generalità delle montagne, non si tratta, peraltro, di un fenomeno nuovo, anche se inedita è la velocità del corrispondente inurbamento: il processo data a partire dagli ultimi decenni del secolo XIX, a seguito della grande crisi agraria innescata dalla depressione che ha inizio nel 1873.

 

Prosegue poi nel corso dell’800, fino ad imporsi, dai primi decenni del ‘900 a tutto il periodo fascista, come problema nazionale meritevole di specifiche politiche ad hoc.

 

La prima metà del ‘900, con i lavori pubblici legati alla realizzazione della ferrovia Direttissima Bologna-Firenze e lo scavo della Grande Galleria, si pone per la montagna bolognese in parziale controtendenza. Si tratta comunque di una fase transitoria.

 

Le mappe relative ai primi due intervalli intercensuari postbellici (dal 1951 al 1971) danno conto in modo eloquente del fenomeno dello spopolamento delle campagne e in particolare della montagna, cui corrisponde la pressione sul capoluogo e sui comuni della sua cosiddetta “prima cintura”.